Meta Lubiana e Arbe, due località pesantemente segnate dall’attacco alla Jugoslavia portato dall’Italia fascista nel corso del secondo conflitto mondiale.
Le vicende di ottant’anni fa – che con gli attuali eventi tra Ucraina e Russia presentano analogie degne di riflessione – ebbero due momenti e punti chiave appunto nella città di Lubiana, dichiarata capoluogo della nuova provincia italiana e nell’isola di Arbe (Rab).
Confinata, e isolata, tramite cavalli di Frisia, torrette con mitragliatrici e check point, dal resto del territorio, Lubiana subì violenze, fucilazioni e un gran numero di deportazioni verso i campi di concentramento allestiti dall’esercito, tra cui è tristemente famoso quello di Arbe-Rab.
Pur non essendo teoricamente destinato allo sterminio, di fatto lo divenne, con punte di mortalità, per deperimento e malattie, che arrivarono a superare percentualmente quelle dei lager.
«Principali cause di morte nei campi saranno la fame e freddo essendo gli internati soprattutto nel primo periodo alloggiati in tende e solo successivamente in baracche», scrivono Alberto Becherelli e Paolo Formiconi, in “La quinta sponda – Una storia dell’occupazione italiana della Croazia 1941- 1943”, pubblicato dall’Ufficio storico dello Stato maggiore della Difesa . «Il livello di alimentazione era insufficiente, la situazione igienica inadeguata, e già nel dicembre del 1942 ad Arbe avevano perso la vita circa 500 persone. Alla chiusura del campo i morti sarebbero stati più di 1400, circa il 20% del totale dei suoi internati slavi (circa 7500)».
Oggi sul tracciato della recinzione bellica lubianese, lunga oltre 30 km, è stato realizzato un percorso naturalistico, il Pot Spominov (Sentiero della rimembranza e della solidarietà).
A Kampor, nell’isola di Arbe, invece, è stato trasformato in sacrario il cimitero che ricorda le vittime.
Il viaggio nelle due località, che non sono mai state oggetto di una visita o di un atto ufficiale dello Stato italiano, servirà agli studenti per acquisire una visione più ampia e completa del turbine di violenze che verso la metà dello scorso secolo insanguinò l’Alto Adriatico.
L’iniziativa si inquadra nel progetto “Il confine dentro – dentro il confine”, sostenuto dall’assessorato alla Cultura della Regione Friuli Venezia Giulia.